Descrizione
1886 – 1969
Il giornalista G. Titta Rosa, grande amico di Piero Trevisani e Suo profondo conoscitore ci traccerà la biografia di Questo autorevole concittadino nato ad Alberobello il 6 dicembre 1886. Sappiamo, così incomincia la trattazione il Titta Rosa, che la famiglia d’origine veneta, si trapiantò in Puglia al tempo delle Crociate ed è discendente non solo del pittore Francesco detto il romano ma anche di quell’abate umanista cui Bari ha dedicato una via.
Un familiare ci precisa che Piero fu il penultimo di sette figli, che la famiglia da Alberobello si trasferì ad Andria dove il padre, figlio e nipote di garibaldini, era stato nominato segretario comunale e, uomo integerrimo, non rimpianse mai i beni che il nonno aveva in gran parte sacrificato per l’unità della patria. Patriota anche lui, aveva creduto negli ideali del ’48, che furono quelli del De Sanctis e di tanta borghesia meridionale. Con sette figli sulle spalle, Trevisani padre riuscì a introdurre il suo penultimo figliolo, appena ebbe compiute le scuole medie, nel convitto Massari di Bari, sia per consentirgli di continuare gli studi e sia anche perchè si tirasse una paga, quella di istitutore dei convittori più piccoli. Sicchè il ragazzetto, non ancora quindicenne, poteva studiare a pezzi e bocconi, e poi la sera e la notte. Non vorremmo che questo racconto, o rievocazione della vita giovanile del nostro amico prendesse la piega di un raccontino alla De Amicis. Assennato sì, lo era: ma piuttosto perché non c’era altra via di uscita.
Per suo conto, sognava il giornalismo, la vita letteraria, lo scrittore; e leggeva tutto quanto produceva la letteratura di fine Ottocento e degli inizi del Novecento. E furono forse quelle letture che riuscivano a mitigare il ricordo della vita familiare, il rimpianto della tenerezza materna di cui a volte sentì il richiamo, furono forse quei libri letti strappando le ore al sonno o alla malinconia a dargli il culto del libro? Non lo sappiamo; ma certo il compagno di giorni non sempre lieti, fu poi “l’amico” di tutta la vita e quanto egli poi fece per il «libro» fu forse il riflesso di quanto il libro aveva a lui donato nella sua acerba giovinezza.
Uscito di collegio con un diploma di insegnante e rientrato in famiglia ad Andria, nel 1907 fonda il Circolo di cultura Giosuè Carducci che dice chiaro l’orientamento del giovane Piero negli studi letterari nello stesso anno della morte del Poeta, cioè nel colmo dell’espansione, specialmente nel Meridione, della fama e della poesia carducciana. Ma annunziando la fondazione del Circolo a Mario Rapisardi e a Giovanni Pascoli, il baldo catanese rispose con un motto quasi goethiano: Luce, ancora più luce, la scienza soltanto può farci liberi, ch’era un apoftegma consono a quegli anni di positivismo; e il Pascoli telegrafò: Non ubbidite ciecamente se non all’intima voce che suona sì e grida no, di non facile interpretazione.
Il desiderio di libertà, di emancipazione, di una vita sua è fortissimo in lui, tanto che dopo aver insegnato per un anno ad Alberobello e avere scritto le prime corrispondenze per il quotidiano di Bari vincendo le affettuose resistenze paterne che lo avrebbero voluto trattenere, Piero Trevisani, appena ventunenne, si trasferisce a Milano con l’incarico di corrispondente del Corriere delle Puglie, diventato più tardi Gazzetta del Mezzogiorno e col compito di insegnante. Ecco dunque il nostro giovanotto nella capitale lombarda e, come tutti i meridionali, avido di coglierne e capirne la vita, il costume, gli interessi. La Milano di quegli inizi di secolo somigliava ancora più al “Milanin” di Emilio De Marchi che non al suo “Milanon” che tuttavia comincerà a vivere con un ritmo vivace e moderno proprio in quegli anni, con la crescita edilizia della città verso le periferie, con l’afflusso crescente delle classi operaie chiamate a Milano dal sorgere di molte industrie, con le nuove iniziative sociali, col primo socialismo. E se ancora vivo era l’eco delle cannonate di Bava Beccaris, ancora più vivo e urgente era il programma, anche da parte della nuova e più moderna classe dirigente, di avviare il paese verso migliori condizioni economiche con la nuova politica di Giovanni Giolitti che assecondava, pur senza parere, l’elevazione del proletariato e soprattutto di Turati e Treves che impersonavano il socialismo nel quale Trevisani sembrava trovare la risposta ai tanti inquietanti problemi della società di allora e specialmente del Mezzogiorno.
Intanto il giovane terminava i suoi studi all’Accademia scientifico-letteraria (ora Università degli Studi), frequentava i cenacoli artistici e giornalistici milanesi, il Circolo filologico e la Famiglia artistica. Ma era la funzione della cultura e del libro nel suo contenuto spirituale e nel suo aspetto esteriore ciò che rendeva attento e vigile l’interesse di Piero Trevisani. Era verso il libro che andava particolarmente la predilezione di Trevisani, nella sua opera di giornalista e di uomo colto. È d’allora, da prima del 1914, che si sveglia in lui l’interesse per l’arte della stampa (nel quale poi saprà percorrere tanto cammino) che finirà con l’essere la ragione stessa della sua vita. Perchè, nell’iter spirituale di Piero Trevisani, se gli interessi culturali e umani potevano essere molti fin da quegli anni ciò che lo interessava sempre più era un’attività che s’immagina facilmente lontana dal tumulto del giornalismo, pur essendo con esso intimamente legata: l’arte della stampa.
Data dal 1923 la sua carica di consigliere della Società degli Amatori del Libro, e ciò sta a dimostrare che fin da allora la sua vera nuova passione aveva avuto modo di manifestarsi e di essere ben quotata. E non è lontana da quella, la data di fondazione della Fiera letteraria, che comincia ad uscire a Milano ai primi di dicembre del 1925. Fondata da Umberto Fracchia, redattore capo G. Titta Rosa, redatta da una folta schiera di scrittori e giornalisti, da Ugo Ojetti, a Pietro Pancrazi e da Fernando Palazzi, Riccardo Bacchelli ad Adolfo Franci, da Luigi Chiarelli a Orio Vergani, (Benedetto Croce vi diede la sua collaborazione, e Luigi Pirandello vi pubblicò a puntate il romanzo «Uno, nessuno, centomila ») il grande settimanale milanese divenne l’organo più cordialmente liberale, ma non privo di rigore critico della nuova vita artistica italiana. Piero Trevisani vi tenne fin dagli inizi la rubrica sui problemi del libro, e ne rese conto con oculatezza e sobrietà. La «Fiera» portò il libro a diretto contatto col pubblico allo scopo di slargarne la diffusione, visto che le librerie apparivano ancora quasi ritrovi per iniziati, e l’entrarvi faceva soggezione. Furono realizzate così dal 1927 le prime “Feste o Fiere del libro” e alla loro organizzazione, fatta un po’ alla garibaldina, ma con oculatezza, fu chiamato naturalmente Piero Trevisani, che dal ’25 aveva aggiornato i programmi della Scuola del libro della Umanitaria e ne era stato commissario esaminatore. Egli ricordava ancora con commozione il diploma di benemerenza che gli fu conferito alla chiusura della prima” Festa nazionale del libro”. Due anni prima il Nostro aveva conosciuto Raffaello Bertieri (glielo aveva presentato Mario Coccoluto Ferrigni, redattore del «Corriere della Sera », direttore de «La lettura » e compagno d’armi del Trevisani nella prima guerra mondiale): un incontro importante e congeniale alla sua vita spirituale. Chi non ha conosciuto il grande stampatore non può immaginare la sapienza e l’entusiasmo di questo toscano; la sua rivista «Il Risorgimento Grafico» fu una pietra miliare nel rinnovamento della tecnica e dell’ arte della stampa per la novità e insieme la classicità dei suoi caratteri, l’eleganza della sua pagina, la bellezza delle sue tante invenzioni grafiche. Chi gli fu accanto dal 1923 fino alla morte (1941) prima come collaboratore, poi come redattore della rivista e suo segretario particolare, sempre come amico fu Piero Trevisani. Felice incontro che lo porterà a scrivere una biografia di Bodoni per l’editore Hoepli di cui si sta esaurendo la terza edizione. Ma a questo lavoro Trevisani non giungerà di primo acchito, bensì dopo una serie di profili sulle grandi Case editrici italiane, dal Laterza al Mondadori, da Vallardi a Bompiani, da Formiggini a Ceschina, da Zanichelli all’Hoepli. Nutriti di fatti e non di elogi questi profili pubblicati dapprima sul quotidiano di Bari, sono un esempio della misura critica ed espositiva del biografo. Ad essi si possono accostare una «Collana giornalisti» da lui fondata e diretta (1935), una serie di saggi su artisti, illustratori, stampatori pubblicati in Italia e all’estero (Ada Negri, Bruno da Osimo, Rabindranath Tagore, Alessandro Cervellati, Domenico Baranelli, Raffaello Bertieri, Luigi Servolini, Carlo Frassinelli, Vico Viganò, Alberto Tallone, e molti altri ancora) e un delizioso racconto «Monelli in libreria», edito dalla Società Editrice Internazionale di Torino, che è la storia del libro per ragazzi, della quale molte antologie delle nostre scuole secondarie riportano interi capitoli. La vena narrativa e a un tempo didascalica di Trevisani fa forse qui la sua prova maggiore; ne è la riprova il fatto che il bel lavoro sta per raggiungere la quarta edizione. Ma un racconto in cui storia e leggenda, senso dell’ avventura e costume, folclore e paesaggio si trovano in giusto rilievo mescolati e rivissuti è «Flocre tarantino» (S.E.I. Torino) che un critico definì su un giornale milanese «Amore di terra lontana». È questo, forse, il più bel racconto scritto dal nostro amico, che sa il segreto del narrare e dell’insegnare (segreto pure riconosciuto da Sabatino Lopez nella prefazione a «Favole e Racconti» edito nel 1926) e che si rivela in tutti i suoi scritti per la fanciullezza. Poichè Trevisani si sentì sempre insegnante nel senso più semplice e letterale della parola: dare serenamente, comunicare agli altri quanto da lui acquisito magari con fatica, rendendoli consapevoli che «solo la scienza può farci più liberi» secondo l’ammonimento rapisardiano era l’impegno morale a cui egli stesso obbediva per intima vocazione. Non ha mai ostentato titoli di nessun genere poichè soleva dire che l’uomo si giudica dalle sue azioni e occorre essere “umili in alto, perchè è il monte che è alto” e noi possiamo soltanto tentare di avvicinarci alla vetta. Ma qui occorre fare una pausa nell’attività di Trevisani scrittore.
Dopo la limpida biografia sul maggiore, o almeno il più noto tipografo neoclassico italiano, tra la fine della guerra e i primi anni della ricostruzione, egli interpone una attività pratica organizzativa di grande e evidente impegno. Nel 1942 infatti promuove e inizia la costituzione della sezione grafica nella Biblioteca comunale di Milano; nel 1945 lo troviamo tra i fondatori del «Centro di Studi Grafici» di Milano (nel quale fu consigliere per un ventennio tenendovi conferenze e lezioni) e fra le macerie cura la rinascita della distrutta Scuola del Libro dell’V manitaria per incarico dell’On. D’Aragona, vi rappresenta il Comune nel Consiglio di amministrazione e ne è anche condirettore, svolgendo una fervida e fattiva propaganda su quotidiani, giornali, riviste di categoria e attraverso la radio, ottenendo così l’interessamento e l’aiuto di lavoratori, industriali e artigiani che si quotano -per la prima volta -con un contributo settimanale per la Scuola del libro. Le macerie materiali e morali lasciate dalla guerra nelle cose e negli uomini, l’avevano profondamente turbato e quasi “chiamato” a nuovi doveri, quei doveri ai quali aveva già personalmente obbedito non iscrivendosi mai al partito fascista, abbandonando la scuola con soli 27 anni di insegnamento quando la pressione politica si era fatta più pesante, dando alla lotta di liberazione il suo apporto personale e ospitando, proteggendo perseguitati politici e razziali, fino alla fine della guerra. Instancabile e tenace, convinto che l’istruzione può rendere più maturi gli individui, senza mai perdere la calma nei maggiori frangenti, Piero Trevisani pareva si fosse trasformato in un apostolo per la resurrezione di questo primario strumento di civiltà: l’arte della stampa, riuscendo a creare le premesse della costituzione del Comitato paritetico per l’istruzione poligrafica (ora Ente nazionale). Sono anni questi per lui di grande alacrità: nel ’47, al Congresso dei poligrafici in Genova consiglia l’istituzione di una cattedra ambulante poligrafica per portare l’istruzione nelle zone depresse; dal’46 al ’49 apre e dirige i Corsi di complemento per tipografi (i primi in Italia) a Parma e Modena, diffondendo così la figura dell’ operaio-studente, fulcro dell’odierna istruzione per adulti; nel ’49, al Congresso nazionale dei poligrafici, suggerisce e delinea chiare soluzioni per l’istruzione poligrafica su piano nazionale, tuttora in via di sviluppo. Intanto, nel decennio 1948-1958 Trevisani ricopre, fra le altre, la carica di consigliere dell’Ente nazionale ed è membro della commissione tecnica per l’elaborazione di programmi e profili; presenta successivamente un progetto per la costituzione di un Ente per la tutela fisica e morale dei poligrafici e uno schema per il funzionamento di una biblioteca grafica circolante su invito di Giovanni Valdarchi segretario nazionale della Federazione poligrafici e, infine, in collaborazione con funzionari della Breda, studia nel 1952 una Scuola trasferibile per grafici e, dopo il Convegno di Assisi, per incarico del Ministero del Lavoro, compila i primi programmi professionali. Nel 1954 viene designato rappresentante dell’Italia nel Congresso internazionale dei Grafici a Venezia per riferire su «Il libro e la stampa ». La sua attività senza soste provoca il sorgere di Centri di Studi, Corsi, Scuole grafiche in tutta Italia, ch’egli stesso inaugura a Brescia, Bologna, Verona, Parma, Genova e Napoli ricevendo naturalmente critiche, ma più ancora larghi consensi dalle menti più aperte e più volte all’ avvenire. Il comm. Alberto Zanlari, allora presidente degli Industriali parmensi, così gli scriveva: «Non la dimentichiamo questa sua paziente opera di divulgazione: lei è stata veramente la lampada votiva che ha illuminato questo risorgere grafico in tutta Italia. Lei ha svolto quest’opera preziosa con ottimi risultati perchè le scuole, gli istituti grafici che sono sorti in Italia sono sorti da quella semente da lei sparsa con fede e cuore generoso» (21 maggio 1962). Attestazioni come queste sono numerose nella cartella che il nostro amico custodiva con legittimo orgoglio. Fin dal 1936-37 egli pensa ad una « Storia dell’Editoria» e ne manda un indice-sommario ad Albano Sorbelli (Direttore della « Biblioteca Comunale» di Bologna) che glielo ha richiesto e che dirige l’Enciclopedia del Libro edita da Mondadori; ma è solo nel 1953 -dopo anni di ricerche e di lavoro -che porta finalmente a termine la sua monumentale “Storia della stampa” per la quale riceve consensi e plausi non solo in Italia, premi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri su proposta del dotto Giuseppe Padellaro, direttore generale del servizio informazioni e proprietà letteraria e, gradito su tutti, l’elogio dell’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi il quale, dopo averlo invitato, ed encomiato al Quirinale, gli ripete ancora per iscritto -in occasione della presentazione del volume al Circolo della Stampa di Milano -il suo plauso ed il suo giudizio. La critica si occupò largamente di questa poderosa e tuttavia agile fatica con articoli di Eligio Possenti, Arnaldo Fraccaroli, mons. Giovanni Galbiati prefetto dell’ Ambrosiana, Giovanni Cenzato, Giannetto Avanzi, Guido Lopez, Dino Villani, Mario Armanni, Domenico Baranelli, Giovanni Valdarchi e molti altri ancora. La RAI1, attraverso la parola del prof. Tommaso Bozza, soprintendente bibliografico del Lazio, gli dedicò un’intera puntata nella rubrica «I libri del giorno ». Ci piace riferire ciò che scrisse su un quotidiano milanese il suo vecchio amico che ora sta schizzando questo profilo: «Abbia inizio la storia della stampa cinquecento o cinquemila anni fa, la splendida monografia che ha dedicato all’argomento Piero Trevisani è quanto di meglio si poteva scrivere su questo tema. E di più ordinato, criticamente accertato, e anche garbatamente esposto. Si tratta di sedici lunghi capitoli dalla preistoria ad oggi… Storia, dunque, della stampa, e prontuario di consultazione, arricchito di centinaia di illustrazioni, molte delle quali rare e non poche a colori e, infine, fornita di utili indici che consentono di trovare facilmente l’argomento che al momento interessa ».
Ideata come la prima opera di un’enciclopedia poligrafica fa ancora testo nelle consultazioni ed è ricercata continuamente da studiosi e scuole grafiche. I larghi consensi e il buon successo librario non arrestano e non turbano lo scrittore che vede invece nell’altra sua attività ancora molto da fare. Alle cariche pubbliche, al lavoro nei Congressi, alle numerose rappresentanze come, fra le altre, quella del Comune di Milano nel Consiglio di amministrazione dell’Istituto Rizzoli per l’insegnamento delle Arti Grafiche, ai riconoscimenti onorifici, come la medaglia di Benemerenza civica del Comune di Milano e la Croce di Cavaliere al merito della Repubblica su proposta dell’On. Paolo Treves, agli altri suoi frequenti interventi e prolusioni in importanti Corsi di Cultura grafica, egli continua ad alternare la sua opera di studioso. Va ricordata in proposito la Bibliografia delle arti e tecniche grafiche pubblicata nel ’56 nella Rivista internazionale “Homo Faber” e poi aggiornata e completata dall’Ente nazionale per l’istruzione professionale poligrafica e, segnatamente l’impulso dato per l’erezione del primo Museo grafico italiano. Intitolato a G. B. Bodoni, il museo doveva sorgere a Parma dove esiste il più completo materiale bodoniano e doveva poter competere col Gutenberg Museum di Magonza e con quelli di Anversa e di Oxford. Col calmo fervore che lo distingue Trevisani raccoglie a Milano i primi milioni per iniziare le necessarie opere murarie onde ripristinare le sale della Pilotta distrutte dai bombardamenti, provocando così il necessario, indispensabile, poderoso intervento del Ministero della Pubblica Istruzione. Il Museo infine è fatto; e, per decreto del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, Trevisani viene nominato, nel Consiglio direttivo, consigliere benemerito a vita. Primo presidente del «Centro studi G. B. Bodoni », sorto per poter affiancare l’opera divulgatrice del Museo, egli promuove manifestazioni grafiche-culturali che fanno onore a Parma e ai grafici italiani: il «Premio Bodoni Città di Parma » per segnalare il libro meglio stampato nell’ultimo quinquennio, un Concorso per giovani tipografi per una pubblicazione illustrante la Pilotta, e la interessantissima Mostra di Alberto Tallone.
Rapida sintesi la nostra di sessant’anni di lavoro: vita e opere che in Piero Trevisani coincidono come due facce della medesima medaglia. Vi spiccano da un lato una istintiva modestia, dall’altra una operosità chiara, mai interrotta sempre coerente con la sua umanità. Ricordo il fedele ritratto che ne faceva Mario Ferrigni del “Corriere della Sera”: «È un uomo di serena dirittura, pronto sempre ad aiutare, a consigliare chi si rivolge a lui; ma pronto anche a ritirarsi quando intuisce di non essere compreso; rispettoso, ma intransigente con gli avversari quando è convinto della bontà della sua causa; incapace di rispondere con armi pari alla malevolenza altrui; egli giudica con equilibrio uomini e cose e non si aspetta mai più di quanto ognuno di essi può dare ».
Non si può dire meglio di così, con parole più sensibili, più semplici e più vere.
Bibliografia
AA. VV. (1970) – Piero Trevisani, ed. Ceschina, pp.125.
Fonte: www.itrullidialberobello.it
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